attualità, Spunti teorici

Consumare risorse o produrre risorse: due culture a confronto

(…) “Comunismo e cattolicesimo, sia pure in modo diverso, rendevano il presente come funzionale al futuro. La speranza stava nel futuro. Un futuro situato nel solidarismo che preparava all’aldilà per i cattolici; situato nel cambiamento del mondo e dei destini del proletariato per i comunisti. La speranza nel futuro condizionava il comportamento ed i valori del presente. Tutto questo aveva ripercussioni di grande rilievo sui valori che reggevano il presente e sul modo di responsabilizzare le decisioni entro la vita attuale. (…)

Non sono solo i movimenti politici del nostro paese a determinare questo cambiamento. Pensiamo alla globalizzazione da un lato, allo spostamento dell’economia dalla produzione alla finanza dall’altro. Pensiamo alla profonda crisi economica che attanaglia da quasi 10 anni il mondo occidentale europeo, all’allargamento della comunità europea, all’avvento delle nuove tecnologie della comunicazione che hanno cambiato radicalmente i rapporti tra persone e gruppi sociali. Il passaggio dalla speranza nel futuro alla ricerca di gratificazione nel presente sia nelle singole persone che nel sistema dei rapporti culturali. ( …)

Si è da più parte sottolineato come la speranza nel futuro motivi a sopportare il presente. Ma si è anche visto come la speranza motivi ad un impegno anche faticoso e sofferto nel presente. (…) La speranza nel futuro motiva al miglioramento sia individuale che sociale. Un miglioramento che concerne le persone e i sistemi organizzativi. Lo sviluppo , la crescita, il miglioramento, l’uso sempre più competente delle risorse, l’approfondimento delle conoscenze nell’ambito delle competenze emozionali, il miglioramento delle competenze organizzative, tutto questo appartiene ad una cultura che crede nel futuro e che è convinta del suo sviluppo. ( … )

Chi è attento soltanto al presente sviluppa di contro una atteggiamento di rapina, ove l’avidità da soddisfare è incurante del futuro, attenta solo a dare corpo alla cupidigia violenta e distruttiva di chi non si interessa minimamente a quanto succederà in quanto conseguenza del proprio operare. Per chi è attento solo al presente prevale la convinzione che ogni atto non abbia costo, sia priva di conseguenze per il futuro del contesto entro il quale si vive.

Vorrei che considerassimo attentamente questa componente del vivere solo nel presente. L’avidità che regge l’accumulo di gratificazioni materiali, indipendentemente da ogni previsione sul futuro è tipica della delinquenza, in particolare della delinquenza organizzata. ( … )

Chi vive nel presente senza cura e attenzione al futuro può essere motivato solo dall’avidità, dal consumo delle risorse senza alcuna motivazione al produrre trasformazioni del contesto utili al futuro. La trasgressione, la violazione delle regole del gioco la distruttività ingorda e irresponsabile vivono e agiscono in un presente fine a se stesso profondamente individualista, ove la dinamica delle relazioni è fondata solo sull’efficacia trasgressiva. Lo stato di diritto è stato corrotto e dissolto dal malaffare e dalla corruzione. Ciò che sembra in crisi nel nostro paese è il senso dello stato. ( … )

L’attuazione immediata dell’avidità rende impossibile il desiderare, Il desiderio comporta un progetto sul futuro, una proiezione del proprio agire entro una trasformazione finalizzata e pensata della realtà. Il desiderare è una scommessa con il futuro. (…)

Lavoro, Spunti teorici

Quando lavorare non stanca. Il rapporto tra appartenenza, partecipazione e produttività.

Ogni anno la rivista Fortune stila una classifica delle aziende che coccolano maggiormente i propri dipendenti. Ve ne sono alcune che si sforzano di rendere oltremodo piacevole l’ambiente di lavoro[1] e di offrire qualsiasi servizio di cui il dipendente possa aver bisogno (palestre, saloni di bellezza, nido, market, sala giochi, bar, ristoranti, etc).  Tutto sembra studiato perché il dipendente desideri rimanere a lavoro. Anzi, perché desideri non uscirne mai.  Prima di farsi venire l’acquolina in bocca vale la pena esplorare la deriva sottilmente perversa di questa proposta.

L’intenzione sembrerebbe quella di far stare bene i dipendenti. Perché? Perché un dipendente che sta bene rende di più; soprattutto non ce l’ha con i suoi superiori, va d’accordo con i colleghi ed è più facile da gestire.  L’auspicio è: eliminare la conflittualità. Se non fosse che il conflitto è insito nelle relazioni ed anzi ne consente lo sviluppo. Non si dà relazione senza conflittualità. L’assenza di conflittualità è assenza di rapporto[2].

Al contrario ciò che può fare la differenza nei contesti di lavoro, in termini di produttività e soddisfazione, è la presenza, il riconoscimento e il desidero di rapporti. Lo capì circa un centinaio di anni fa un’equipe di ricercatori guidati da Elton Mayo, che nel 1927, andava costruendo situazioni sperimentali davvero all’avanguardia, presso gli stabilimenti Hawthorne della Western Electric, a Chicago.  Gli sperimentatori, in accordo con una lungimirante amministrazione dell’azienda, cercavano correlazioni tra la produttività dei lavoratori e le loro condizioni di lavoro. Quindi manipolarono queste ultime per un gruppo di lavoratori ( gruppo sperimentale ) e le lasciarono invariate per un altro gruppo ( gruppo di controllo ). Per esempio venne aumentata l’intensità dell’illuminazione. Il risultato fu che nel gruppo sperimentale ci fu un netto aumento di produttività, ma lo stesso risultato fu ottenuto anche dal gruppo di controllo, per il quale l’illuminazione non aveva subito alcun cambiamento. Mayo si spinse oltre, fino ad apportare ben dieci modifiche alle condizioni di lavoro, fra cui la riduzione dell’orario di lavoro, varie pause, nonché una serie di incentivi.  Gli stessi lavoratori parteciparono alla individuazione delle variabili da manipolare, fornendo la propria esperienza e proponendo le proprie ipotesi. Il risultato fu sempre lo stesso: la produttività aumentava in entrambi i gruppi. La cosa incredibile fu che quando ai lavoratori si chiese, attraverso riunioni partecipate, di tornare indietro rispetto ai benefici introdotti, le performance restarono più elevate rispetto ai livelli precedenti l’esperimento. Fu evidente che ciò che aveva fatto la differenza non erano le variabili strutturali che si manipolavano ( illuminazione, pause, etc ).

Quale variabile era intervenuta allora?

C’è chi parla di effetto Hawthorne come fenomeno per il quale le prestazioni di un soggetto variano in presenza di un osservatore. Credo sia una banalizzazione del lavoro di Mayo, come spesso accade quando si vuole generalizzare un fenomeno che appartiene ad uno specifico contesto.

Certamente però si può dire che i lavoratori percepivano che l’azienda si stesse interessando alle proprie condizioni di lavoro. L’innalzamento della produttività non era dovuto a condizioni strutturali, ma al vissuto di fare parte di un’organizzazione che si prendeva cura della salute dei suoi dipendenti, alla sensazione che ci fosse qualcuno che prestava loro attenzione, che li ascoltava.

E qui si arriva alla seconda questione cruciale: i dipendenti avevano partecipato alla costruzione dell’esperimento. Non si sentivano osservati, ma partecipanti. Sperimentavano forse per la prima volta il vissuto di avere potere di incidere sulle proprie condizioni di lavoro. Questo vuol dire partecipare: sperimentare di avere un potere di azione e di cambiamento nel rapporto con il contesto.

Questo è quanto ho capito nel corso della mia carriera; mi sono occupata di rischi psicosociali sul lavoro, di clima organizzativo e di culture del lavoro in contesti universitari, ospedalieri, scolastici e nella libera professione e ciò che ho visto è che la qualità della vita lavorativa raramente migliora con il variare di sole condizioni strutturali. Anzi la cultura per la quale si attendono variazioni strutturali dall’alto spesso acuisce il senso di distanza dal proprio contesto di appartenenza e amplifica il senso di impotenza. Per introdurre cambiamenti bisogna fare assistenza alle relazioni lavorative, costruendo contesti in cui sia possibile la partecipazione e la costruzione di criteri di lettura delle dinamiche istituzionali.

[1] Esiste un filone di studi di psico-architettura sull’arredamento degli uffici: colori, forme e posizioni che favorirebbero la costruzione di un clima sereno e produttivo.

[2] Altra storia è il modo in cui si può trattare la conflittualità. Per esempio la si può agire sino a farla cristallizzare in dinamiche violente, oppure la si può pensare per farla ritornare un elemento produttivo delle relazioni.

Per approfondimenti:

Fai clic per accedere a Hawthorne_20Studies_201924_20Elton_20Mayo.pdf

http://fortune.com/